di Vincenzo Balzano -GO-SPA CONSULTING
Uno dei peggiori effetti collaterali della pandemia che ha dominato il 2020 è stato certamente quello di essere riuscita a distogliere l’attenzione da ogni tema che non fosse ad essa inerente. Eppure il normale corso degli eventi e le principali trasformazioni economico – politiche del sistema globale si sono tutt’altro che arrestate. Uno dei grandi capitoli rimasti aperti, mentre i media rivolgevano il loro frastuono altrove, è senz’altro quello di Brexit.
L’ultima grande apparizione sui giornali fu, infatti, il 30 gennaio 2020, quando gli eurodeputati inglesi, in lacrime, intonarono l’Auld Lang Syn (il canto delle candele) mentre abbandonavano definitivamente l’aula di Bruxelles. In quell’occasione si sanciva che il Regno Unito (Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord) usciva dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica, in applicazione dell’articolo 50 del Trattati della UE.
Ma cosa è cambiato da allora? Come si è evoluto il rapporto tra l’Unione e uno dei suoi membri “più capricciosi” (usando l’eufemismo che ricorda gli anni della Lady di ferro)?
Ma soprattutto, cosa prevede l’accordo commerciale raggiunto in extremis? Innanzitutto bisogna ricordare che un primo accordo risale già al 2019, anno in cui furono fissate le regole per il recesso e dato un termine, il 31 dicembre 2020, entro il quale UK e UE avrebbero dovuto stipulare nuovi accordi di natura commerciale, decisivi per il futuro degli scambi tra UK ed UE. Ma come sappiamo, quello che doveva essere «l’accordo commerciale più facile della Storia», non è mai stato tale. Per un semplice motivo: gli inglesi hanno sempre voluto che il divorzio fosse puramente politico, lasciando intatti i rapporti commerciali preesistenti; mentre, dall’altra parte, gli europei hanno spinto affinché solo i membri effettivi dell’Unione avessero il diritto di usufruire del regime agevolato proprio della Comunità Europea, promuovendo quindi un divorzio sostanzialmente economico.
L’impasse è stato superato la sera della vigilia di Natale del 2020, con uno sprint finale dei negoziatori Michel Barnier e David Frost, ma soprattutto grazie all’intervento decisivo del premier britannico Boris Johnson e della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Numerosi sono i temi cruciali su cui l’accordo è intervenuto: primo su tutti quello dei dazi, i quali sarebbero andati a pesare sul 90% delle merci britanniche esportate, un’ipotesi quasi del tutto scongiurata, insieme al limite alla quantità di prodotti commerciabili. Poi, la questione della pesca: ricordiamo che il Regno Unito era arrivato al punto di schierare quattro navi della marina militare per pattugliare le acque territoriali britanniche dai pescherecci europei. Con l’accordo, invece, l’Europa rinuncia a un quarto della quota di pesce catturato nelle acque del Regno Unito per i prossimi 5 anni e mezzo, dopo i quali i canoni saranno ritrattati. Per quanto riguarda il turismo, ai cittadini europei basterà il semplice passaporto per recarsi nel Regno Unito (per 90 giorni), mentre, per poter lavorare oltremanica, bisognerà essere in possesso di un Visto, ottenibile solo nel caso in cui si abbia già un impiego retribuito almeno 26.500 sterline annue (circa 29mila euro) e a patto di avere un livello di conoscenza di inglese B1. I lavoratori del settore sanitario avranno a disposizione una corsia preferenziale per il suo ottenimento, la fast-track entry.
Da ciò risultano esentati gli oltre 4 milioni di europei che già vivono e lavorano nel Regno Unito. Un’altra questione, cruciale quanto spinosa, è quella del cosiddetto “level playing field”, ovvero le regole per impedire che nel medio-lungo termine le aziende britanniche possano fare concorrenza sleale a quelle europee. Su questo versante le due parti si sono accordate per un livello minimo di standard ambientale, sociale e sui diritti dei lavoratori, un livello sotto il quale nessuna delle due parti potrà mai scendere. E se una delle due parti non rispettasse gli accordi? Senza giri di parole, anche questo è stato parte dell’accordo. Per quanto riguarda la risoluzione delle controversie infatti, si è stabilita la possibilità di attivare un meccanismo cosiddetto “di riequilibrio” che potrebbe determinare l’imposizione di dazi su alcuni beni. Una clausola molto rigorosa, che ha l’obiettivo di riportare in pari la bilancia in caso di squilibrio da una parte o dall’altra di essa. Inoltre, il Regno Unito è riuscito ad ottenere una importante vittoria imponendo che, in caso di controversie intervenga un arbitrato indipendente e non la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, alla quale però resta giurisdizione per le controversie riguardanti l’Irlanda del Nord, territorio che rimarrà soggetto alle norme del mercato unico dell’UE e dell’unione doganale. Parallelamente, proseguirà la cooperazione già esistente in alcuni settori come sicurezza, energia e trasporti, con la garanzia di un accesso “preferenziale” delle aziende sia europee che britanniche al mercato della controparte.
Un accordo tutto sommato equilibrato ma parziale, che non lascia né vincitori e né vinti, se non molti dubbi sul futuro di questioni tutt’altro che marginali. Nonostante tutto, infatti, Brexit porterà i controlli di frontiera e moltissime regole in più da seguire per le aziende che, pur avendo evitato i dazi, saranno comunque messe in difficoltà dall’allungamento inevitabile dei tempi di import-export delle merci. Secondo diversi analisti le immagini delle lunghe fila di camion formatesi a causa della decisione di alcuni Paesi europei di interrompere i collegamenti con il Regno Unito a causa della comparsa della “variante inglese” della Covid «potrebbero essere state solo un assaggio di ciò che sta per arrivare» nelle prossime settimane. Inoltre, c’è da considerare che l’economia del Regno Unito è incentrata prevalentemente sul settore dei servizi, ambito che non è stato praticamente coinvolto nell’accordo. In questo contesto sarà infatti l’Unione Europea che unilateralmente deciderà che tipo di accesso potranno avere le società finanziarie britanniche nel mercato unico dei servizi europeo. Una negligenza che potrebbe costare caro al mercato finanziario, in termini di stabilità rispetto agli accordi preesistenti. Cosa succederà, quindi? Per rispondere si potrebbero utilizzare le parole della Regina che, in visita in Irlanda del Nord due giorni dopo il voto su Brexit, alla domanda su come si sentiva, rispose “Still alive”. Gli inglesi sapranno superare anche Brexmas, forse anche grazie al loro proverbiale humor. Elisabetta II docet.