ROBERTO TOMASIN – GO-SPA CONSULTING
Il termine FIL -Felicità Interna Lorda- fu introdotto negli anni 70 dall’allora re del Buthan, Jigme Singye Wangchuck. Invece il PIL -Prodotto Interno Lordo-, già inserito dal filosofo ed economista scozzese Adam Smith nella sua opera fondativa dell’economia politica: “La ricchezza delle nazioni”, fu aggiornato nel 1934 da Simon Kuznets, un altro economista, divenendo poi il modello per misurare l’economia di ogni Paese a seguito degli accordi di Bretton Woods nel 1944, sul finire della Seconda guerra mondiale. Accordi che, nell’insieme delle regolamentazioni economiche internazionali, istituivano le regole di politica monetaria a favore degli Stati Uniti. Ciò, nonostante il tentativo di una sana dialettica fra l’inglese John Maynard Keynes, che propugnava una nuova moneta mondiale come unità di conto, il bancor, e l’americano Harry Dexter White che portò a casa invece il signoraggio mondiale del dollaro americano.
Il PIL nasce già come un sistema sbilanciato verso gli indicatori prettamente economici e reddituali dei rapporti sociali. Delineando una relatività strumentale e tecnica che ci ha condotti, dopo un percorso quasi secolare, alla perversione sociale e climatica dei giorni nostri dove ci si propone di “aggiustare” il mondo nello stesso modo in cui lo abbiamo rotto (!). Klaus Schwab, presidente del World Economic Forum, dettando le linee guida ai potenti del mondo nel recente G20 di Bali postulava: “Se consideriamo tutte le sfide possiamo parlare di multicrisi: economica, sociale, politica, ecologica e istituzionale. Ciò che dobbiamo affrontare è una profonda ristrutturazione sistemica del nostro mondo. Il mondo avrà un aspetto differente dopo che avremo completato questo processo di transizione. Per questo governo e imprese devono collaborare per diventare un pesce veloce, perché nel mondo di oggi non si tratta più del pesce grande che mangia il pesce piccolo, ma del pesce veloce che mangia quello lento”. Novello evoluzionista, Schwab si è atteggiato forse come continuatore del pensiero di Charles Darwin anche nella citazione attribuitagli: “Non è la specie più forte che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva al cambiamento”. Ma possiamo ancora permetterci di continuare a definire la nostra identità attraverso lo scontro e lo sfruttamento del prossimo? Seguitando una corsa all’accumulo di risorse e beni…per arrivare dove?
Probabilmente un pensiero incoerente sul come rapportarci con il pianeta –nella consapevolezza che non abbiamo un pianeta B dove rifugiarci-, forse distopico rispetto alle narrazioni ESG –Enviromental, Social, Governance nei 17 goals ONU-SDG (Sustainable Development Goals)- alle quali tutti gli attori finanziari ed economici si stanno allineando nell’ottica di uno sviluppo sostenibile e inclusivo. Dove le aziende si qualificano come elementi costitutivi di una comunità, anche in una nuova geografia virtuale, creata su un sistema composto certamente da mezzi tecnici, economici, ma anche ambientali e soprattutto valorizzate dalla componente umana: le persone, i loro talenti e bisogni.
Alle volte bisogna andare indietro per prendere la rincorsa in avanti. Il FIL è stata un’intuizione degli anni ‘70. Anni che si sono contraddistinti come un decennio di libertà, di trasgressione, di lotte politiche, ma anche di grande creatività in tutti i campi, dove si andava verso l’era dell’Acquario. Sono gli anni “creativi”, le basi della svolta economica e sociale che si compirà nel decennio successivo. Gli anni del filosofo Herbert Marcuse e della contestazione giovanile nel mondo Occidentale. Gli anni di Andy Warhol e le sue affermazioni: “Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per 15 minuti”. Gli anni della musica pop e rock e dei “figli dei fiori”, del film Jesus Christ Superstar. Gli anni in cui i Beatles sciolgono il loro quartetto, iniziano i voli commerciali del Boeing 747 e Richard Nixon, allora presidente degli Stati Uniti sgancia il dollaro dalla convertibilità in oro dando vita alla fiat money -creazione di moneta sulla parola-. La Cina e l’Olp vengono ammesse all’Onu, mentre in Medio Oriente esplode la guerra del Kippur e l’Opec alza il prezzo del petrolio, provocando una crisi energetica mondiale. In Cile cade il governo Allende; nel contrappasso, a seguito dello scandalo Watergate, si dimette il presidente Richard Nixon. Orbitano nello spazio le sonde Voyager 1 e Voyager 2, mentre la prima sonda robotica russa Luna 16 raccoglie i campioni rocciosi dal suolo lunare. Karol Wojtyla diventa Papa con il nome di Giovanni Paolo II. Nel Regno Unito Margaret Thatcher è eletta Primo ministro e l’Europa vota il primo Parlamento europeo. Formidabili, quegli Anni 70…come lo possono diventare anche gli Anni ‘20 di questo nuovo secolo! Oggi possiamo essere formidabili nel ritornare ai concetti illuminanti del FIL valorizzandoli in strumenti di misura che scompongono e ridanno “vita e profondità” al paniere valutativo del “vecchio” PIL. Esistono tanti altri strumenti di misurazione del benessere già codificati. Per esempio ogni anno viene trasmesso al Parlamento italiano la relazione sul Benessere equo e sostenibile -BES- che si basa sui dati ISTAT ed entra nel processo di definizione delle politiche economiche evidenziando alcune dimensioni fondamentali per la qualità della vita come salute, istruzione e formazione; lavoro e conciliazione dei tempi di vita; benessere economico; relazioni sociali; politica e istituzioni; sicurezza; benessere soggettivo; paesaggio e patrimonio culturale; ambiente; innovazione, ricerca e creatività; qualità dei servizi.
Grazie a quella prima iniziativa del “vecchio” re del Buthan, ai giorni nostri abbiamo in dotazione la decima edizione del World Happiness Report che recepisce a sua volta la risoluzione 65/309 “Felicità: verso un approccio olistico allo sviluppo” adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 2019 che invita i governi del mondo a “dare maggiore importanza alla felicità e al benessere nel determinare come realizzare e misurare lo sviluppo sociale ed economico”. Un nuovo paradigma che si celebra nella “Giornata internazionale della felicità” il 20 marzo di ogni anno.
Un nuovo PIL, non più brutto e cattivo, ma bello e buono perché, prendendo a prestito le parole dell’economista Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz: “…ciò che si misura influisce su ciò che si fa.”. Per questo di fronte a validi misuratori di benessere si possono configurare interventi di policy differenti nei diversi pesi che vengono attribuiti alle diverse dimensioni del benessere. Consapevoli che tutti gli strumenti statistici utilizzati per le disparate misurazioni non possono essere considerati neutrali rispetto alle scelte stesse alle quali siamo chiamati. Potrebbe sembrare un approccio ingenuo, da “anima fragile”, come nella canzone di Vasco Rossi, che chiude con il ritornello “E cambiamo anche noi”. Oggi non più un auspicio, ma una necessità perché il tempo è già scaduto…anche per i pesci veloci.