di Marta Pinosa -GO-SPA CONSULTING
“La cultura è tra i pilastri dell’agenda di Draghi, il richiamo del Presidente Draghi al ruolo dell’Italia come grande potenza culturale indica con chiarezza quale sarà l’orientamento dell’azione governativa in questa difficile situazione, così come le indicazioni al dovere di promuovere la cultura insieme alla formazione e all’educazione; alla necessità di una maggiore consapevolezza del nostro primato culturale; alla opportunità di investire sulla transizione culturale partendo dal patrimonio identitario umanistico, sull’accesso paritario alla formazione ambientale, sulla manutenzione del territorio e sulla capacità di preservare e tutelare le città d’arte, i luoghi e le tradizioni come chiave di una crescita economica sostenibile” – Dario Franceschini
Viene continuamente ripetuto che l’industria creativa, artistica e culturale sia fondamentale per lo sviluppo economico, sociale, industriale e politico del nostro Paese. Come lo stesso Jerry Saltz, rinomato critico internazionale e storico d’arte, spesso sottolinea: l’arte è con noi sin dal principio, è qualcosa di cosmico e irrinunciabile. Tante volte è stata dunque promossa la sua essenzialità. Ma perché? L’importanza di questa industria nel suo complesso è dimostrata a livello nazionale da due esempi istituzionali: in primo luogo la Costituzione italiana dedica un intero articolo, il numero 9, alla conservazione e ricerca del patrimonio storico ed artistico; inoltre siamo uno dei pochi Paesi che possiede un Codice dei beni culturali. Il valore intellettuale, storico, artistico e culturale di tale patrimonio è dunque ampiamente discusso e preso in considerazione dalla maggior parte delle persone, ma forse viene dimenticato che non si tratta solamente di un valore astratto, ma anche di un valore economico, politico e sociale. A dimostrazione di questa affermazione è opportuno prendere in considerazione alcuni numeri che sono stati recentemente pubblicati in un rapporto intitolato Io sono cultura Io Sono Cultura – Symbola.
Nel 2018 il sistema produttivo, culturale e creativo ha generato 98 miliardi di euro, il 6.1% del PIL, grazie a 1.55 milioni di occupati nel paese, circa il 6.1% sul totale dell’economia (dati sempre riferiti al 2018). Invece il valore complessivo della spesa delle famiglie italiane per ricreazione e cultura nel 2017 ammontava a 71.436 milioni di euro (dati ISTAT). Si tratta di un’analisi interessante soprattutto se confrontata con i numeri che riguardano la partecipazione attiva nei confronti di tale industria, che nel 2018 è stata pari al 64.9% della popolazione italiana, prevalentemente composta da cittadini del centro nord. Nello specifico gli istituti museali hanno registrato oltre 55 milioni di presenze. Dati alla mano, è pertanto di facile comprensione quanto il settore culturale e la relativa industria svolgano un ruolo essenziale all’interno della nostra economia. Nello specifico, all’interno di quella categoria che viene definita come soft economy o più colloquialmente economia dell’innovazione. Ma per comprendere un fenomeno bisogna sempre guardare al suo contesto, ed è a questo punto che è opportuno osservare un altro dato fondamentale: il valore aggiunto, in pratica quanto denaro si attiva ogni euro speso nel settore artistico, creativo e culturale? La risposta è 1.88 euro: la filiera culturale ha prodotto un totale di 265 miliardi di euro nel 2018. In concreto questo significa che visitare un museo implica che il visitatore utilizzi per esempio i mezzi pubblici, che si fermi in un bar a prendere un caffè, in un ristorante a mangiare un pranzo, in un’edicola a comprare un giornale. Ecco come il prezzo di un biglietto per una mostra o uno spettacolo di teatro diventa un ingranaggio imprescindibile nella complessa macchina che è l’economia cittadina, regionale e addirittura nazionale. Gli esempi di questo meccanismo si possono per esempio riconoscere in tutti quei processi di rigenerazione urbana che partono proprio da un progetto creativo culturale. Tra i più recenti progetti italiani si hanno l’opera di Edoardo Tresoldi a Reggio Calabria, il progetto NoAgenzy per Prato, le svariate attività di Street Art e molto altro ancora. Caso calzante è quello del Guggenheim Museum di Bilbao, la cui costruzione portò ricadute positive non solo strettamente legate al museo stesso, ma sul PIL nazionale, sul turismo locale e nazionale, sugli impieghi nel settore, sulle attività correlate, sull’economia del Paese oltre a fornire un contributo alla rigenerazione urbana del territorio stesso. Riprendere l’attività dell’intera filiera culturale dopo un periodo di crisi come quello subito a causa della pandemia, deve dunque essere al centro delle discussioni e dei provvedimenti per la ripresa del Paese. Questo non solo perché è un diritto fruire del nostro patrimonio, ma anche per le conseguenze dell’interruzione di un meccanismo tanto complesso quanto correlato. Ciò provocherebbe una serie di reazioni a catena che diventerebbero non solo distruttive per il sistema artistico culturale, ma per l’intero sistema economico. Dunque, come Churchill rispose a chi gli suggeriva di chiudere i teatri per ragioni di sicurezza, è lecito chiedersi: “Se dobbiamo chiudere i teatri, allora per cosa combattiamo?”